Distese di astragalo, tanaceto e cerastio.
Arbusti bassi, che non riparano dal sole, e sotto i piedi tutto nero come inchiostro caduto e già seccato.
Di fronte ai suoi occhi l’Etna si erigeva nella sua assoluta maestosità e alle sue spalle, betulle, faggi, castagni e ulivi.
Proseguire o tornare indietro?
Ester non aveva dubbi, voleva vedere la cima di quel vulcano vecchio e brontolone, non le bastava essere arrivata a metà, dove le gambe già sono stanche. Ester voleva arrivare in alto.
Così proseguì e salì ancora, e ancora salì.
Sotto i piedi non più erba, né rametti o altri arbusti, solo lava, grumi essiccati di materia, vomitati incandescenti dalla bocca del vulcano.
Ester proseguì e salì, l’aria era fredda e il sole era caldo, e il fiato iniziava ad esser stretto.
Camminava con fatica su tappeti di rocce ignee mentre a cantare intorno c’era solo il vento.
Ma la strada per le sommità è difficile, la salita è ardua e lenta e le forze vengono meno.
Ester si sedette, avvolta da una stanchezza che non somigliava tanto alla fatica dei muscoli, ma a un diffuso torpore, un sonno silenzioso che soffiava sulla testa. Così mangiò quello che aveva nelle tasche: una manciata di pistacchi presi dalle piante di Bronte e si addormentò, quando il sole iniziava a calare andando ad immergersi tra le acque del mare lontano.
Ma come succede spesso nei luoghi più magici, qualcosa accadde: la Notte vide Ester infreddolita tra le rocce e pensò che tanta ostinazione e tanto coraggio andasse premiato, e così la trasformò.
Ester si svegliò cerva.
Dapprima non riuscì a capire questo suo nuovo corpo fatto di peli, zampe e corna, poi comprese subito il regalo che le aveva fatto la Notte: ora aveva nuova forza e quattro gambe per continuare la sua strada.
Ester la cerva, riuscì ad arrivare fino alla sua ambita cima e ringraziò la Notte che le era venuta in aiuto, poi, si girò, lasciando le spalle al vulcano, e tornò a valle, a cercare pistacchi da mangiare, e nuove vette da raggiungere.
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Forse qualcuno obietterà sul fatto che io l’abbia chiamata Sacher, ovviamente la Sacher è una sola, ed è diversa, nella base, nella farcitura, e chiaramente nella glassa. Ma vi invito a provare questa versione, io l’ho definita Sacher perché mangiandola ho sentito qualcosa di deliziosamente “peccaminoso”, una sensazione molto simile a quella che mi provoca mangiare l’originale.
Mi scuso per la mancanza delle foto dei procedimenti… ma questa è stata la torta che ho cucinato per il mio compleanno e preparando per 10 persone a cena era difficile riuscire anche a scattar foto! 🙂
Favolosa Luca!! Le tue ricette non smettono mai di sorprendermi ☺
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Grazie Ivana! E la prossima sarà quella che in tanti attendono su Facebook …le tagliatelle con farina di ceci!
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